50 anni di finanza indipendente

50 anni di finanza indipendente

Copertina Libro 50   pag 50esimo
 

Nel 2023 ricorre il 50esimo anniversario della nascita di Euromobiliare, oggi EQUITA. Mezzo secolo di storia è un importante traguardo per una investment bank come la nostra, che ha fatto dell’indipendenza il suo punto di forza, affiancando in questi anni investitori, istituzioni finanziarie, società quotate e imprenditori.

Per l'occasione, abbiamo deciso di ripercorrere 50 anni di finanza indipendente la realizzazione di un reportage a cura di Federico Fubini - giornalista e scrittore - sull’evoluzione di una delle prime banche d’affari in Italia, seguito da un racconto su chi è EQUITA oggi e sul suo impegno per il sociale, rafforzato nel 2022 con la nascita di Fondazione EQUITA.

"Era il punto fondamentale: il valore di Euromobiliare erano le sue persone,
l’abilità e la cocciutaggine dei broker, la capacità degli analisti di ricerca,
l’abilità e la caparbietà dell’accompagnare le operazioni di finanza
straordinaria delle imprese, la disponibilità di molti a stare in piedi
fino alle tre di notte ogni volta che c’era da chiudere un’operazione."

Euromobiliare 1992

Una Primula Bianca nell'economia italiana

Mezzo secolo di EQUITA nel segno dell’indipendenza
Vitale

A metà di giugno del 1972 una ricercatrice di 27 anni si sedette nell’ufficio di un banchiere d’affari poco più anziano di lei, perché cercava un lavoro. Si chiamava Rita Gastaldi e non aveva mai preteso di essere una predestinata. Era lì quasi per caso, in un certo senso. Si era laureata alla Bocconi quattro anni prima – una fra le poche donne – perché aveva capito che studiare economia era l’unico modo di entrare all’università dopo un diploma in ragioneria. E aveva fatto ragioneria perché secondo i suoi genitori, il padre dirigente delle ferrovie a Torino, la madre casalinga, quello era un titolo di studio adeguato a una ragazza nata alla fine della guerra.

Il colloquio si svolse in via degli Andegari, nel cuore della vecchia Milano manzoniana, in uno spazio che era stato della Feltrinelli. Per Gastaldi era almeno il secondo tentativo di abbandonare la ricerca universitaria ed entrare in finanza. Prima era stata alla Comit, in Piazza della Scala, dove le avevano cortesemente spiegato come girava il mondo nel 1972: “Noi, donne laureate non ne assumiamo – le aveva detto il capo dell’Ufficio personale –. Potremmo offrirle solo un posto da dattilografa o da segretaria”. Invece Guido Roberto Vitale, il giovane banchiere, l’ascoltò e poi interruppe con una domanda brusca: “Può presentarsi in ufficio da lunedì mattina?”. Lei riuscì a rinviare il debutto nel nuovo lavoro fino al primo luglio, ma da quel giorno sarebbe rimasta in azienda – o meglio, nelle sue successive incarnazioni – per una quarantina  di anni. “Da noi non si fanno discriminazioni”,
le avrebbe detto Vitale alla prima promozione, un paio di anni dopo: unica volta in cui accennò al fatto che una donna era qualcosa di fuori dal comune nella finanza milanese, mezzo secolo fa, ma non nella sua azienda.

Anche Vitale aveva una storia fuori dal comune, che aveva generato a sua volta idee e comportamenti fuori dal comune per l’Italia di allora. Ebreo piemontese nato prima della guerra, aveva avuto un’infanzia inevitabilmente pericolosa, fatta di spostamenti e scuole in italiano, inglese e francese. Dopo la laurea in economia a Torino, era stato tra i primi della sua generazione a specializzarsi negli Stati Uniti, alla Graduate School of Management della Columbia University. Alla Edilcentro di via degli Andegari, dove era amministratore delegato, cercava di portare gli insegnamenti della sua esperienza americana nel cuore di un’Italia in tumulto.

Una potenza economica anomala

Paolo Monti   Servizio fotografico (Milano, 1968)   BEIC 6330455

Piazza Affari a metà degli anni ’70 capitalizza meno di un quinto della Borsa di Francoforte, meno di un terzo di Parigi e praticamente un decimo del London Stock Exchange. Il mercato dei capitali sembra un angolo nell’ombra, poco più di una curiosità per personaggi eccentrici o senza scrupoli.

Dall’inizio Guido Roberto Vitale aveva l’idea fissa di fare la sua parte per modernizzare questo mondo. Era convinto che lo sbocco naturale per ogni impresa sana dovesse essere la quotazione, sulla base di bilanci e di modelli di business trasparenti. Nella sua azienda iniziò da subito a riconoscere compensi in azioni ai dipendenti,
anche appena assunti, quando ancora la pratica era pressoché sconosciuta in Italia. Introdusse anche un fondo pensione aziendale, in un momento in cui nel paese lo avevano solo pochissimi e blasonatissimi grandi gruppi.

Vitale curava ogni dettaglio perché aveva una visione più ampia: voleva rafforzare e rendere più centrale il ruolo dei mercati dei capitali nel paese, cercava di valorizzare i patrimoni delle famiglie nell’interesse dei risparmiatori e del sistema produttivo, non di questo a spese di quelli. Voleva mettere al centro il merito, la competenza tecnica e i dati finanziari, all’interno della sua azienda così come nei rapporti con la clientela e con gli investitori in genere. Non avrebbe mai accompagnato verso la borsa un’impresa – neanche una pronta a riconoscergli commissioni astronomiche – se avesse sospettato che si trattava di un modo per estrarre risorse al pubblico degli investitori senza vere prospettive di sviluppo. In altri termini, Vitale voleva dimostrare che era interesse del paese seguire una direzione diversa da quella che allora prevaleva. Ed era convinto che era possibile provarci, nella vita di tutti i giorni della sua impresa: anche in un sistema chiuso che viveva in gran parte delle reti di relazioni e di contatti con il mondo politico. L’indipendenza era il suo metodo. Gli strumenti allora più innovativi – dalle quotazioni alle offerte pubbliche d’acquisto, al ricorso ai mercati obbligazionari e molto altro – sarebbero stati la messa in musica di questa visione. “In questo Vitale e l’azienda a cui ha dato forma erano una sorta di primula bianca nell’economia italiana”.

La linea di faglia del 2007

Nata con un forte senso della propria identità, Euromobiliare continuava ad essere segnata da quel codice genetico. Per la partnership diventa l’occasione d’oro di compiere un passo in più verso un’indipendenza sempre meglio protetta. E lo stesso incarico viene dato, su suggerimento di Perilli, proprio a Guido Roberto Vitale.

Lo strumento per arrivare all’obiettivo è un nuovo accordo internazionale: entra in gioco il grande fondo di private equity americano JC Flowers, Il progetto prevede l’ingresso dell’investitore americano con il 50,5%, mentre il 49,5% viene acquisito dai partner della società che così muovono un primo, decisivo passo verso il loro vero obiettivo: diventare i padroni di sé stessi.

Con questa operazione entra nel capitale e in azienda Andrea Vismara, che in seguito diventerà amministratore delegato di EQUITA, con il compito di sviluppare le attività di investment banking. 

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Intervista all’Amministratore Delegato del Gruppo EQUITA

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Qual era il suo obiettivo all’inizio?

“Erano anni difficili, con la crisi finanziaria globale e poi la crisi dell’euro che colpì l’Italia. Ma avevamo un’ottima piattaforma, unica in Italia. Euromobiliare non era una semplice boutique di advisory, come ce ne sono tante. La parte vigilata delle attività – il mercato, la ricerca, i contatti con gli investitori istituzionali, anche all’estero – ci dava una marcia in più. Formulai un piano per l’investment banking che all’epoca sembrava eccessivamente ambizioso, per non dire aggressivo, eppure da allora i ricavi in quest’area sono cresciuti da 2,9 a 41,4 milioni di euro fra il 2008 e il 2022. Quando entrai io eravamo in tre in quest’area. Oggi siamo quasi sessanta, grazie a un’intensa attività di on-boarding di nuove figure senior, inclusa l’acquisizione di K-Finance del 2020, che per noi è molto importante per rafforzare i rapporti con gli imprenditori e sviluppare le nostre attività nel mid-market”.

Euromobiliare e poi EQUITA hanno sempre tenuto un profilo pubblico relativamente basso. Di recente invece quest’aspetto è cambiato un po’. Perché?

“Proprio perché lo richiede la nostra strategia di diversificazione. In passato l’azienda non aveva mai avuto una necessità particolare di esporsi. Ma quando devi affiancare imprenditori, grandi gruppi quotati, istituzioni finanziarie, le attività tradizionali di banca d’affari e di gestione di asset alternativi richiedono una riconoscibilità del marchio particolare. In questo anche l’attenzione per la sostenibilità, che condividiamo a priori, è un ingrediente fondamentale per creare un rapporto di fiducia con i nostri clienti”.

Vismara, nell'offerta di servizi finanziari voi riflettete i punti di forza del meglio dell'industria italiana: talenti, professionalità, dedizione, capacità di risolvere rapidamente i problemi in strutture agili, affidabilità, fiducia dei clienti. Ma il limite del modello italiano, la minore crescita dimensionale, non può diventare anche un vostro limite?

“Non credo, in primo luogo perché negli ultimi quindici anni non abbiamo mai smesso di crescere. Il nostro modo di lavorare, fondato sull’indipendenza, crea all’interno del nostro gruppo un’energia che non si trova spesso nelle grandi banche d’affari. Qui siamo tutti  ìimprenditori, non funzionari. Ma soprattutto vedo margini di crescita molto significativi in tutte le nostre aree. Nell’intermediazione continuiamo a vedere le nostre attività rafforzarsi anno dopo anno, frutto di una netta leadership in alcune aree storiche come l’intermediazione azionaria, a cui sia aggiunge un continuo impegno nella diversificazione dei servizi, come ad esempio sul mondo obbligazionario e dei derivati. Nell’investment banking e nell’alternative asset management c’è invece ancora tanto spazio, possiamo continuare a completare la nostra offerta e rafforzare le nostre quote di mercato investendo in nuove iniziative”. 

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